O giovani, voi che siete sobri ed operosi e onesti,
voi che pensate e soffrite, datevi con maggiore coraggio alle vostre idee e alle vostre ricerche.
E lavorate senza darvi troppo pensiero di
polemiche ed ammonimenti. Ed anzi tappatevi
gli orecchi per non udire gl’inviti alla tenzone.
Giuseppe Antonio Borgese
Il fulcro di un’Istituzione formativa è la preparazione degli allievi. Ovvero una pedagogia appropriata a tirare fuori, come una guida, un accompagnamento, una levatrice, il meglio che ognuno può dare di sé. Per un’Istituzione di Alta Formazione Musicale, questo si traduce nel portare ogni allievo alla sua massima espressione artistica, con le competenze tecniche, metodologiche, di conoscenza e sensibilità artistica adeguate in grado di poter autonomamente esprimere la straordinaria ricchezza che l’arte musicale possiede.
Non vi è dunque altro fine se non questo fine supremo: trasmettere conoscenza e sapere e tirar fuori, in quel percorso maieutico che fin dall’inizio s’instaura tra docente e allievo, quel talento che ognuno porta con sé e che, manifestatosi anzitempo, lo ha spinto a frequentare giovanissimo un Conservatorio di musica. È questo il tema, più generale, dell’educazione e della formazione degli allievi che seguendo i canoni propri di una metodologia didattica, infine, consegna quell’allievo al concerto della società quale professionista e artista maestro del suo proprio strumento e artefice della sua creazione artistica.
Se questo compito finale, è però in parte anticipato, meglio, verificato in corso d’opera, ecco che l’apprendimento di tecniche e metodi, diventano, non soltanto percorsi scolastici e didattici obbligati ma un’opportunità anticipatrice di espressione di quell’estro artistico che ognuno, in nuce, custodisce. Se poi, questa sfida formativa-creatrice è proposta per confrontarsi con un autore contemporaneo latamente entrato nel patrimonio culturale e nella conoscenza musicale di più generazioni, allora, diventa in sé un esercizio paradigmatico di un apprendimento in fieri che libera scintille di creazione già nel percorso di apprendimento, spalancando così orizzonti creativi e infondendo stimoli e autoconsapevolezza necessari per affrontare più impervi e impegnativi cammini.
Sta qui il senso di un’iniziativa, che mi permetto di definire senza mezzi termini, audace e coraggiosa, inedita e perfino innovatrice, nonostante possa essere annoverata per un Conservatorio di Musica, come inusuale, una sfida concettuale in sé, nei confronti di canoni più quietamente tradizionali e consueti rispetto ai quali, nel corpo vivo di una musica colta studiata, ognuno fa i conti con il proprio bagaglio culturale e le proprie sensibilità artistiche di una musica ascoltata e cantata, di cui si lascia liberamente pervadere quotidianamente.
Perciò senza scomodare padri nobili della lunga tradizione musicale della storia della musica, ognuno dei quali ha rappresentato nel suo tempo rotture e innovazione secondo quanto, con molta saggezza educativa e pedagogica, proponeva Robert Alexander Schumann con le sue Regole di vita per i giovani musicisti: «Venera l’antico, ma va’ incontro al moderno con tutto il tuo cuore. Non covare pregiudizi verso nomi che non hai mai sentito», il progetto Il Conservatorio interpreta Guccini rappresenta in sé, grazie all’impavida condivisione e al lavoro immane portato avanti da docenti chiamati quotidianamente a questo compito educativo-formativo-creativo, il maestro Marco Betta e il maestro Fabio Correnti – che hanno accolto una proposta e si sono fatti carico delle fatiche e degli accenti di diverse vedute -, qualcosa di unico e raro di cui la presente pubblicazione degli spartiti raccolti in un unico volume rappresenta la sintesi, oserei dire il telos e finanche la testimonianza di un esercizio che non è stato vano e che certamente non sarà caduco di memoria.
Oltre il brivido di un confronto impari che ne sarebbe potuto derivare e a cui ci si è improvvidamente esposti, vedere giovani allievi compositori cimentarsi con un autore quale Francesco Guccini, maestro poeta menestrello che per la sua storia è tra i giganti della storia della musica cult e popolare italiana, con la sua poesia musicata, letteratura cantata e parole in versi di note, è qualcosa di straordinaria bellezza che denota il grande valore pedagogico in sé di un’intuizione: quella di scommettere sui giovani, di dar loro fiducia e strumenti concreti per farli esprimere e raccontare il loro punto di vista, in questo caso interpretativo, dando spazio alla loro espressione, alla loro idea musicale e d’arte.
Questo loro concretissimo esercizio didattico-pedagogico, accompagnato dalle mani esperte di tanti docenti attenti e prodighi i cui ‘pezzi’ sono stati eseguiti da altrettanti giovani allievi chiamati a interpretare e suonare (cantare) una musica coeva, dimostra quale sia la strada, per ogni genere musicale, per tutti i generi musicali, di una doverosa quanto necessaria sperimentazione produttiva che un Conservatorio deve sempre saper offrire ai suoi giovani allievi, professionisti e artisti di domani, nei vari campi della sua offerta formativa, tutta, a pari gradi, di grande dignità.
In altro ambito, un grande qual è stato nel suo campo, Giuseppe Antonio Borgese, a chi, colloquiando con lui, gli diceva di essere lui, Borgese, «ottimista e di amare i giovani!», si era nel 1920 alla vigilia del suo Rubè, Borgese risponde: «Che direste se uscendo ora per la campagna aperta vedeste qualcuno strappare e calpestare i rami fioriti dei peschi? Si deve alla gioventù molto rispetto e molta riverenza. Avremmo ragione di essere malcontenti se i nostri maestri fossero stati inesorabili con noi». Che lezione di vita e non solo d’arte!
Questo è stato, in confidenza pubblica, ora che il tutto ha raggiunto il suo porto in condivisione d’intenti e di finalità, il senso di un progetto inedito, il perché di ospitare per la prima volta in un Conservatorio un autore della storia e della levatura di Francesco Guccini: offrire ai giovani allievi, proprio a loro, l’opportunità di potersi cimentarsi in un inedito percorso re-interpretativo ed esecutivo in grado di stimolare in loro quella necessaria curiosità per provare, sperimentare, creare, realizzare. Come, da nani, salendo sulle spalle di giganti.
Una lezione, questa, un esempio, che ci si augura sia stata compresa, al di là di ogni imperfezione e che possa essere, in altri campi, mutuata e realizzata ad onore e merito della lunga tradizione e storia di un Conservatorio che ha alle spalle quattro secoli di vita e dei suoi tanti giovani allievi, di ieri, di oggi e di domani.
Gandolfo Librizzi
presidente del Conservatorio
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